lunedì 1 luglio 2013

War is a war is a war is a war

La storia che andiamo raccontando si snoda nel difficile contesto di un paese immaginario appena uscito da una guerra lunga e sanguinosa. Durante questo conflitto, la distinzione tra civili e militari, tra il fronte dei combattimenti e quello che un tempo si chiamava fronte interno, risultava del tutto labile. Tanto è vero che non ci si è fatto scrupolo di arruolare anche i bambini, trasformandoli in "piccoli diavoli" pronti a compiere azioni efferate in seno alla popolazione civile. Dichiarare la fine di una guerra non significa però poter riprendere a vivere in pace, come se nulla fosse successo.
Oltre ai danni materiali e ai morti da seppellire, restano le conseguenze psicologiche e sociali di quella forma di violenza organizzata chiamata guerra.
Quello che ci interessava erano gli effetti che la violenza ha sulle persone coinvolte, che siano vittime, carnefici o semplici spettatori.
Tutti i nostri personaggi portano dentro di sé i segni di questa violenza, subita e commessa, e dalle loro vicende si capisce quanto difficile sia uscire da quel'insieme perverso di responsabilità, di interessi, di necessità, di orrore cieco e di stupidità che sono le guerre umane. In una guerra le persone si trovano apparentemente in un contesto nel quale le regole di convivenze civile non hanno più nessun valore. Non tutti si comportano e reagiscono nella stessa maniera: c'è chi tenta di approfittare della situazione, chi si nasconde, chi si oppone e chi è semplicemente schiacciato dagli eventi. E chi sopravvive, malgrado tutto, sarà sempre figlio della guerra.

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